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Michelangelo Antonioni e Ravenna

10 Dicembre 2013

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La bellezza delle ciminiere tra i pini
Il film girato a Ravenna che fece la storia
Due giornate dedicate a "Deserto Rosso" di Michelangelo Antonioni
A colloquio con il documentarista Fabrizio Varesco

RavennaDesertoRosso«In mezzo agli alberi ci passano le navi». Prendeva appunti su un quadernetto Michelangelo Antonioni quando nel 1963 era giunto a Ravenna per girare quello che sarebbe diventato il suo capolavoro Deserto rosso, una pellicola che segnò la storia della cinematografia mondiale. Questa piccola provincia industrializzata sorta in mezzo ai pini non era solo uno sfondo su cui si muovevano i personaggi, ma era protagonista della parabola di un mondo che corre verso il futuro. «È il secondo porto d’Italia Ravenna, lo sa? – spiegava Antonioni al giornalista de L’Europa Letteraria dopo aver ritirato il Leone d’oro –. Il mito della fabbrica condiziona la vita di tutti, qui a Ravenna. La spoglia di imprevisti, la scarnifica. Il prodotto sintetico la domina, prima o poi finirà con rendere gli alberi oggetti antiquati, come i cavalli. Dare per scontata la fine del bosco, fare di un pieno un vuoto, sottomettere scolorendola questa antica realtà alla nuova, che è altrettanto suggestiva: non è questo che avviene qui da anni in un flusso che non si ferma mai?». Ravenna era per Antonioni il prototipo di questo contrasto.
Il documentarista Fabrizio Varesco dell'associazione Ravenna Cinema ha organizzato una due giorni per «capire perché Deserto Rosso è un capolavoro» (vedi il programma in fondo all'intervista tra gli allegati).
«L’importanza di questo film è cresciuta nel tempo. – racconta Varesco – Più passavano gli anni, più si capiva quanto era stato importante e aveva influenzato registi in tutto il mondo. Basti pensare a Martin Scorsere, tanto per citarne uno, che lo annovera tra le pellicole più importanti di sempre».
Deserto rosso fu un film di passaggio per Antonioni, e fu anche il suo primo girato a colori. «Il colore per la prima volta nel cinema non ha solo un valore figurativo, ma ha un significato espressivo».
Al centro del film il contrasto tra la natura e l’industria che la sopraffà, il progresso è una ciminiera a cui sacrificare la bellezza dei paesaggi per la speranza in un futuro di ricchezza e benessere. Perché Antonioni scelse proprio Ravenna per rappresentare questo cambiamento epocale?
«Antonioni era ferrarese e conosceva bene Ravenna perché ci veniva a giocare a tennis. Percorrendo le strade della periferia cittadina era rimasto molto colpito da quella strana commistione di natura e industria. Ciminiere che crescevano in mezzo alla pineta».
Dal film emerge una Ravenna che non è la città dei mosaici e delle biciclette, ma è del lavoro.
«Le immagini di queste industrie sono entrare nell’immaginario del mondo. Una bellezza di scenari lontana da quella canonica, ma pur sempre una bellezza. Per questo nel convegno interverranno oltre a cinefili, attori e musicisti anche degli architetti. Emerge una natura violentata, non certo l’immagine della città che avrebbe voluto far uscire l’ente per il turismo, ma luoghi comunque affascinanti, che colpirono anche me, che non sono ravennate di nascita, la prima volta che li vidi».
Nel tuo cortometraggio Desert storm ha ricercato quei luoghi che Antonioni mostrò nel film, come li hai trovati oggi, a cinquanta anni di distanza?
«Sono totalmente mutati. Ma il loro fascino è immutato. Queste larghe ciminiere, come delle trombe puntate verso il cielo».
Sui “luoghi di Deserto rosso” si è anche un dibattito in città: conservare o cambiare, cosa ne pensa?
«Luoghi come le torri Hamon hanno una propria bellezza e sono un segno della memoria collettiva dei ravennati e non solo. Credo che siano qualcosa di importante».
In questa Ravenna disumanizzata Anonioni raccontò il disagio dell’essere umano.
«Un disagio che ha a che fare con la storia e col progresso. Un disagio che non coinvolge solo la protagonista interpretata da Monica Vitti, ma un disagio che è comune a tutti gli essere umani».

Fonte: Ravenna e Dintorni.it


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